Cent'anni di veleno di Alessandro Hellmann

Cent'anni di veleno di Alessandro Hellmann

Wednesday, December 27, 2006

recensione su aprile on line

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http://www.aprileonline.info/1087/centanni-di-veleno

testo:

Aprile, quotidiano per la sinistra - 15 dicembre 2006

Cent'anni di veleno: il caso ACNA nella valle del Bormida raccontato nel libro di Alessandro Hellmann, che sfrutta le licenze Creative Commons

di Emanuele Martorelli


Il sottotitolo del libro non potrebbe essere più esaustivo: "l'ultima guerra civile italiana". La guerra nata tra la popolazione di Cengio (al confine tra Piemonte e Liguria) e poi estesasi a tutta la valle del Bormida per fermare lo scempio perpetrato ai danni del fiume omonimo con la nascita dall'Acna (Aziende Chimiche Nazionali Associate) e che ha visto numerose vittime fra i lavoratori dipendenti. La storia comincia tempo addietro, andrebbe servita a mo' di fiaba.

Nel 1882 al signor Pessano Giuseppe è concesso d'impiantare una fabbrica di dinamite nel comune di Cengio (il dinamitificio Barbieri), che significa (tra le altre cose): polvere pirica, nitroglicerina e liquami. Il fiume cambia colore, l'acqua del Bormida da allora non sarà più la stessa. Nel 1906 la Società Italiana Prodotti Esplodenti (SIPE) rileva la fabbrica e costruisce nuovi impianti. Arriva poi la guerra e i contadini delle zone limitrofe accorrono perché, sebbene sottopagati e in condizioni di lavoro a dir poco precarie, il lavoro in fabbrica "è il futuro". E la Patria, sebbene di rado ascolti, chiama. Nel 1931 l'Acna è venduta alla Montecatini e l'acronimo starà da allora a significare "Aziende Colori Nazionali e Affini". Tutto cambia, fuorché il colore del fiume e le condizioni di salute della valle e dei suoi abitanti, decimati dal cancro (ma per le varie ispezioni sanitarie è tutto nella norma e per i medici dell'Azienda la colpa è della cattiva alimentazione). Le continue e spontanee proteste che nascono tra i residenti del Bormida sembrano essere ignorate dai politici di turno, ma non è affatto così: la politica muoverà infatti i fili della situazione risultando assente sulla carta, e anzi creerà delle spaccature interne agli abitanti: i contadini si ritrovano contro i lavoratori dell'Acna, a loro volta sostenuti dai sindacati ma osteggiati da movimenti ambientalisti; liguri e piemontesi si dividono. Lo Stato si limita a soffocare ogni tentativo di protesta da parte degli scalmanati contestatori dell'Azienda. La protesta troverà però un imponente megafono in una associazione nata proprio fra i cittadini (l' "Associazione per la Rinascita della Valle Bormida") per volere di Renzo Fontana, giornalista dell'Unità originario di quella zona. Dopo numerose battaglie, divisioni interne tra lavoratori, contadini e sindacati, la guerra è vinta dall'Associazione nel gennaio del 1999, quando viene definitivamente sancita la chiusura della fabbrica.

Il libro, pubblicato su licenza Creative Commons, ha superato il traguardo delle duemila copie vendute. Alessandro Hellmann (www.alessandrohellmann.com) mette in scena un racconto ironico e pungente, e senza moralismi conduce chi legge attraverso una vicenda (e una guerra sorda che di civile ha ben poco) assurda e lunga cento anni, con un linguaggio semplice e diretto. Sullo sfondo i mutamenti sociali e politici di un'Italia che cambia senza riuscire a cambiare mai. Dal libro lo stesso autore ha tratto il monologo "Il fiume rubato". Un'operazione coraggiosa e indispensabile, per un Paese che soffre di continui vuoti di memoria.



INTERVISTA ALL'AUTORE

EM: Come sei arrivato al caso Acna?
AH: Il mio interesse per il caso Acna è nato nel ‘98 in seguito alla lettura casuale di un articolo molto bello di Aldo Grasso: il suo modo di mescolare cronaca, emozioni e ricordi personali mi ha catturato, così come mi ha catturato questa storia commovente e grottesca, che poi ho avuto modo di ricostruire e approfondire percorrendo la valle in lungo e in largo, raccogliendo le testimonianze di chi l'ha vissuta e consultando per oltre un anno centinaia di documenti, articoli, libri, registrazioni, diari e altro materiale di ogni genere. Una storia che mi ha toccato profondamente, pur non avendo io alcun legame personale con le zone in cui si è svolta, e che ho subito sentito mia. Una storia di violenza contro l'uomo e contro la natura, costellata di episodi incredibili su cui, come scrive Nicola Pannelli in appendice, ci sarebbe perfino da ridere molto, se non fosse che non c'è niente da ridere. Niente da ridere perché in mezzo c'è il dramma di chi si è trovato a dover scegliere tra diritto al lavoro e diritto alla salute, nel momento in cui una collusione criminale tra potere politico e potere industriale ha messo questi due diritti inalienabili l'uno contro l'altro; in mezzo c'è il dramma di chi questa scelta non l'ha neppure avuta; in mezzo c'è la gente della Valbormida, c'è un'esigenza di riscoprire la capacità di mobilitarsi e di indignarsi di fronte alla sopraffazione, al ricatto e alla negazione dei diritti più elementari; in mezzo c'è un fiume umiliato, il vino al fenolo, le campagne abbandonate. In mezzo c'è "quell'entità ansiosa che si chiama costo dello sviluppo".

EM: Hai trovato resistenze nella ricostruzione ed hai avuto modo di scontrarti con le divisioni interne ai cittadini o, a distanza di tempo, il giudizio sulla vicenda si è fatto uniforme?
AH: La "guerra civile" tra liguri e piemontesi è stata una guerra tra poveri, ma soprattutto è stata una guerra tra vittime, che ha lasciato molte ferite ancora aperte. Al termine di una presentazione a Savona, ad esempio, ci siamo trovati ad affrontare ancora delle contestazioni da parte di chi, a distanza di tempo, riteneva che l'Acna non dovesse essere chiusa. D'altra parte, durante un'altra presentazione in Valbormida, l'ambientalista Bruno Bruna e l'ex sindaco di Cengio Sergio Gamba si sono stretti la mano per la prima volta dopo anni di lotta sulle opposte barricate. Credo che il dialogo tra liguri e piemontesi sia fondamentale per assicurare che la bonifica del sito venga portata a termine nel modo più efficace possibile. La divisione, ora come in passato, fa il gioco dei poteri politici ed economici implicati nella vicenda.

EM: Perché la scelta della licenza Creative Commons?
AH: Perché in questo caso più che mai ciò che conta è la storia e la possibilità di raggiungere il maggior numero possibile di persone: non solo chi l'ha vissuta ma anche - e soprattutto - chi non la conosce, perché è una vicenda che può insegnare molto. Con Marcello Baraghini ci siamo trovati immediatamente in sintonia su questo punto e abbiamo scelto di dare la priorità al libero circolare delle esperienze e delle idee.

recensione

Fertililinfe n. 0

Quando Pasolini scrisse "io so, ma non ho le prove", non faceva soltanto un'esplicita e precisa denuncia ma stava anche, provocatoriamente, suggerendo agli scrittori italiani un nuovo modo di fare letteratura e giornalismo, ovvero, partendo dal reale (o come disse nell'ultima intervista <<dall'evidenza>>), dare un'interpretazione ultima fatalmente letteraria a questioni di pubblico interesse. Proprio questo invito a "schierarsi" (inteso qui in senso di "stare sul pezzo", non politico), a torto ignorato (come dimostrano i recenti successi televisivi ed editoriali di Lucarelli e De Cataldo), è stato raccolto da Alessandro Hellmann, il quale affronta una delle pagine più buie della recente storia italiana: il caso ACNA. Ed è questa vicenda tipicamente nostrana, un paradigma di paradossi, insabbiamenti, soprusi e scaramucce che dalla discesa di Carlo VIII ad oggi, rendono unico questo paese per divisioni e mancanza di spirito di appartenenza la cui eco giunge fin dal dividi et impera di romana memoria.
Grazie ad un lavoro certosino di documentazione, raccolta e studio di materiali e testimonianze in loco, Hellmann ricostruisce una storia (come lui stesso precisa infatti, questo è <<solo uno degli infiniti modi in cui la storia potrebbe essere raccontata>> p. 4) in cui i poteri, gli interessi, le incompetenze e le istituzioni fanno volutamente da sfondo a volti e persone coinvolte, che ne sono ancora protagonisti assoluti.
All'inizio la scrittura è asciutta, essenziale come se il fenolo fosse venuto a contatto con la pagina stessa, per poi, pian piano, aprirsi ad una sottile ironia, antidoto e bonifica stessa, dell'amarezza che alla narrazione dei fatti si accompagna. Il pericolo, che peraltro Hellmann evita con stile, sarebbe stato quello di generare compassione anziché solidarietà per quelle comunità che continuano a combattere sole contro il Leviatano nell'indifferenza di chi è quel tanto lontano da non esserne coinvolto.
La storia sappiamo ripetersi; di questo ne abbiamo purtroppo le prove. Roberto Di Pietro

recensione

Fertililinfe n. 0

Quando Pasolini scrisse "io so, ma non ho le prove", non faceva soltanto un'esplicita e precisa denuncia ma stava anche, provocatoriamente, suggerendo agli scrittori italiani un nuovo modo di fare letteratura e giornalismo, ovvero, partendo dal reale (o come disse nell'ultima intervista <<dall'evidenza>>), dare un'interpretazione ultima fatalmente letteraria a questioni di pubblico interesse. Proprio questo invito a "schierarsi" (inteso qui in senso di "stare sul pezzo", non politico), a torto ignorato (come dimostrano i recenti successi televisivi ed editoriali di Lucarelli e De Cataldo), è stato raccolto da Alessandro Hellmann, il quale affronta una delle pagine più buie della recente storia italiana: il caso ACNA. Ed è questa vicenda tipicamente nostrana, un paradigma di paradossi, insabbiamenti, soprusi e scaramucce che dalla discesa di Carlo VIII ad oggi, rendono unico questo paese per divisioni e mancanza di spirito di appartenenza la cui eco giunge fin dal dividi et impera di romana memoria.
Grazie ad un lavoro certosino di documentazione, raccolta e studio di materiali e testimonianze in loco, Hellmann ricostruisce una storia (come lui stesso precisa infatti, questo è <<solo uno degli infiniti modi in cui la storia potrebbe essere raccontata>> p. 4) in cui i poteri, gli interessi, le incompetenze e le istituzioni fanno volutamente da sfondo a volti e persone coinvolte, che ne sono ancora protagonisti assoluti.
All'inizio la scrittura è asciutta, essenziale come se il fenolo fosse venuto a contatto con la pagina stessa, per poi, pian piano, aprirsi ad una sottile ironia, antidoto e bonifica stessa, dell'amarezza che alla narrazione dei fatti si accompagna. Il pericolo, che peraltro Hellmann evita con stile, sarebbe stato quello di generare compassione anziché solidarietà per quelle comunità che continuano a combattere sole contro il Leviatano nell'indifferenza di chi è quel tanto lontano da non esserne coinvolto.
La storia sappiamo ripetersi; di questo ne abbiamo purtroppo le prove. Roberto Di Pietro